martedì 29 ottobre 2013

PROCESSO MEDIASET: BERLUSCONI E LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE D'APPELLO DI MILANO


Dovendo solo ricalcolare la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, i giudici della Corte d'Appello di Milano hanno potuto spiegare le motivazioni senza dilungarsi in centinaia di pagine di visto qui e visto lì, considerato qui e considerato lì.
Quindi non avete scuse: dategli almeno un'occhiata (per esempio qui).


Anche se il cuore delle motivazioni è in due o tre frasi che vi riporto alla fine di questo post, non si può ignorare l'introduzione con tanto di schiaffone della Corte alla difesa di Berlusconi.
Infatti, a mio parere, i prezzolati avvocati del condannato non fanno una bella figura e le obiezioni mosse sono confutate dalla Corte con una semplicità che, anche per un non addetto ai lavori come il sottoscritto, non può che denunciare l'inconsistenza delle tesi difensive.

Chiudo implorando pietà:  Berlusconi, dimettiti! 
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ecco qualche frase tratta dal testo integrale pubblicato dal Fatto Quotidiano al link che ho riportato sopra:(il grassetto è mio):

Esaminando ora il reale oggetto del presente giudizio, si osserva che la condotta ascritta all’imputato consiste in una complessa attività finalizzata a realizzare un’imponente evasione fiscale. E’ stato accertato con le sentenze di primo e secondo grado, passate al vaglio della Suprema Corte e quindi divenute definitive, ad eccezione della determinazione della durata della pena accessoria della interdizione dai Pubblici Uffici, che fin dalla seconda metà dagli anni ’80, epoca in cui Berlusconi era presidente della Fininvest, era stato ideato e organizzato un sistema in forza del quale le sue società acquistavano diritti di trasmissione televisiva a prezzi artificiosamente lievitati a causa del passaggio dei diritti stessi attraverso una serie di società infragruppo, prima, e società solo apparentemente terze, poi; i passaggi intermedi erano privi di funzione commerciale e quindi solo strumentali all’esposizione nelle dichiarazioni dei redditi delle società di costi gonfiati, con il conseguente risultato di abbassare il reddito relativo e di evadere quindi le imposte.
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L’imputato è stato ritenuto ideatore, organizzatore del sistema e fruitore dei vantaggi relativi.
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L’oggettiva gravità del fatto deriva: dalla complessità del sistema creato anche per poter più facilmente occultare l’evasione, sistema operante in territorio mondiale, attraverso numerosi soggetti, società fittizie di proprietà di Berlusconi o di fatto facenti capo a Fininvest, e attraverso un meccanismo di contrattazione secretata (creazione di contratti “master” e subcontratti ); 
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dalla gravità del danno provocato all’Erario e quindi allo Stato , danno che solo per i due anni sopravvissuti alla prescrizione ammonta a 7 milioni e 300.000 euro.
Sotto il profilo soggettivo va valutato che gli accertamenti contenuti nella sentenza della Corte d’Appello, divenuta definitiva ad eccezione del capo qui esaminato, dimostrano la particolare intensità del dolo dell’imputato nella commissione del reato contestato e perseveranza in esso. In particolare la sentenza ha definitivamente accertato che Berlusconi è stato l’ideatore ed organizzatore negli anni ’80 della galassia di società estere, alcune delle quali occulte, collettrici di fondi neri e – per quanto qui interessa – apparenti intermediarie nell’acquisto dei diritti televisivi; lo stesso Berlusconi ha continuato ad avvantaggiarsi del medesimo meccanismo anche dopo la quotazione in borsa di Mediaset nel 1994, pur essendo state parzialmente modificate le società intermediarie, in particolare con la già citata costituzione di IMS, avvalendosi sempre della collaborazione dei medesimi soggetti a lui molto vicini: Lorenzano e Bernasconi, quest’ultimo finché in vita; tant’è vero che in quel periodo Berlusconi aveva continuato a partecipare alle riunioni “per decidere le strategie del gruppo”.
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A ciò si deve anche aggiungere che il ruolo pubblicamente assunto dall’imputato, non più e non solo come uno dei principali imprenditori incidenti sull’economia italiana, ma anche e soprattutto come uomo politico, aggrava la valutazione della sua condotta. Alla luce di tali considerazioni si ritiene che anche la durata della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici debba essere commisurata alla oggettiva gravità dei fatti contestati e quindi non possa attestarsi sul minimo della pena. 
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