domenica 7 aprile 2013

HO PERSO LA LUCE

Notte insonne.
Sogni vorticosi, arrotolati di lenzuola, graffiati di scricchiolii.
La notte è il regno del silenzio solo se si dorme o si è svegli completamente, ma non se si resta sospesi nel limbo ovattato del dormiveglia. Abbandonati tra le braccia di Morfeo, per svegliarsi serve un rumore vero, non basta un palpito; così come da svegli, l'attenzione non può essere rivolta al pedalare flebile di un orologio o al ticchettare incerto del frigorifero. Lo stato di incoscienza invece, quello sì che amplifica ed alimenta ogni sussurro, ticchettio, vibrazione.
Stamane, occhi pesti e umore nero, ho raccolto qualche briciola di serenità sparsa a caso sulla tovaglia del mattino e mi sono trascinato a fatica verso la caffettiera, come sempre acquattata come un vietcong tra selve di piatti accatastati alla rinfusa.
<< Un caffè, ecco quello che ci vuole>>
Niente di strano in questa frase, se non fosse che la riscopro tutte le mattine, come la prima volta, conservando ingenuamente la gratificazione di una scoperta di quelle che contano.
L'aroma del caffè aveva iniziato a dettare legge per casa ed è stato allora che ho scoperto di aver perso la luce.
Mi sono ritrovato a fissare un antro buio e umido. Una grotta forse?
La mia anima svelata?
No. Almeno credo.
Ho stretto gli occhi a fessura, focalizzando i miei pensieri "hic et nunc", sentendo la gravità sotto i piedi scalzi e raffreddati dal pavimento gelido, come il mattino uggioso di questa lenta primavera svogliata.
Fermo ma non determinato, fisso ma non vigile.
Immobile,confuso, stordito.

Investito da un'aria fredda e stranamente grassa, ho continuato a raccogliere le informazioni dei neuroni 
di ritorno dal nervo ottico, provando ad interpretare il tutto e il niente.
Ho escluso solo in parte la possibilità di essere precipitato in un buco spazio-temporale, o di essere franato nella cucina del piano di sotto, dietro il pavimento in caduta, ed ho cercato qualche spiegazione più razionale.
Freddo e buio, gli unici indizi. No, anzi, c'era qualcosa d'altro.
C'era uno strano odore. Un odore familiare ma non per questo individuabile. Ho provato a visualizzare l'immagine corrispondente a quell'odore, ma sembrava un'opera di qualche cubista ubriaco, tra i meno bravi a dipingere.
Muschio, ghiaccio, brina, pioggia, ricordi di bambino, presepi ed alberi di Natale, mare in tempesta, rasoi di barba ruvida, funghi del sottobosco, campi sterminati di girasoli andalusi, serate con gli amici, sale d'aspetto, cuoio battuto, e molto, molto altro.

Il buio mi ha sorpreso ed ho scoperto un microcosmo di ricordi, un oblò con vista sulla mia anima.
Sopraffatto da queste emozioni, con i brividi a rincorrersi lungo la schiena, ho chiuso gli occhi inutili in quell'oscurità, ricercando il mio "luogo sicuro" del Palazzo dell'Immaginazione.
Il posto dove si rifugia la mia mente quando il corpo patisce in sofferenza per dolore, stanchezza, fame o privazioni varie.
Il mio spirito guida era in ferie e quindi ho dovuto cercare da solo quel dannato Palazzo, muovendomi a tentoni in quello spazio quadrimensionale privo di un quando e di un dove, di un come e soprattutto di un perché.
Alla fine l'ho trovato, ma era occupato.
Cioè parliamone: lascio qualche giorno il mio "luogo sicuro" e quando torno lo trovo occupato da abusivi?
Il signore che mi ha aperto l'uscio era molto seccato e a niente sono serviti i miei patetici "ma è il mio luogo sicuro, il mio Palazzo dell'immaginazione, la mia testa, i miei pensieri".
<<Niente, non ci serve niente>>
Questo mi ha risposto l'accigliato e oscuro occupante prima di chiudere pesantemente la porta sul mio grugno incredulo.
Il colpo a freddo è servito per riportarmi alla realtà.
La luce, ho perso la luce.
L'aria fredda ha schiarito le mie idee, consegnando la soluzione dell'enigma oscuro ad un'alzata di spalle.
Ho preso lo yoghurt e ho richiuso il frigorifero.



Nessun commento:

Posta un commento