Il tetto del mondo, il luogo più inospitale della terra.
Un luogo dove gli uomini divengono eroi.
Sagaramāthā ("Dio del cielo") in nepalese, Chomolangma ("madre dell'universo") in tibetano, Monte Everest per noi occidentali (una scelta meno filosofico-mistica: Sir Everest era un geografo inglese).
E' un pò che tra le mie infinite fissazioni è comparso anche l'Everest.
Dopo la lettura di "aria sottile" di Jon Krakauer ho iniziato "Everest" di Reinhold Messner.
Il primo racconta la tragedia del 1996 (la versione di krakauer), il secondo l'ascesa senza l'ausilio di ossigeno di Messner.
Il prossimo libro da leggere, già nelle mie mani, sarà "la seconda morte di Mallory", sempre di Messner.
Ma sto cercando il libro scritto da Anatoli Boukreev sulla triste vicenda già narrata da Krakauer.
Certo, la mia passione per l'alpinismo estremo resta e resterà solo sulla carta.
Non solo perché soffro di vertigini (anche questa) e perché sono del tutto privo di senso dell'orientamento (pure), ma anche perché soffro terribilmente il freddo (mmm) e, non ultimo, sono sensibile agli sbalzi di quota e al mal di montagna (si ma basta!).
Ma vi garantisco che quando i miei eroi piantano i ramponi sulla crosta ghiacciata, annaspando in cerca di un pò di ossigeno, sferzati da venti che soffiano a 200km/h e a -40° sotto zero, sdraiato sul divano e avvolto dal mio plaid soffro con loro.
Quando la serraccata del Khumbu trema e crepacci colossali si aprono a sbarrare la strada e gli occhi degli scalatori, sono lì con i portatori, con gli sherpa, con loro.
Perfino lì, all'Hillary Step, ad un passo dalla cima (e che passo), arranco con loro, passo dopo passo. Legato in cordata, con le mani irrigidite dal gelo, in quell'inferno bianco e nero.
E sulla cima, anche sulla cima sono con loro.
Perché scalare l'Everest?
Perché è li!
Questa che è la risposta che diede Mallory dice tutto.
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